UNA nuova procedura diagnostica minimamente invasiva che consente di studiare con accuratezza il carcinoma della mammella, è stata messa a punto dall’Istituto Europeo di Oncologia diretto da Umberto Veronesi. A descriverla lo stesso autore con una pubblicazione apparsa su The Lancet nel giugno 1997; ma a sottolinearne la portata per i risultati ottenuti relativi a 376 pazienti e per la sua applicabilità clinica è oggi il Journal of the National Cancer Institute, la prestigiosa rivista scientifica del centro oncologico di Bethesda, Usa.
Si tratta di un metodo semplice, sicuro ed affidabile frutto di un complesso lavoro di ricerca totalmente italiano: una svolta importante sia nella terapia chirurgica che nella cura post-operatoria (chemio ed ormonoterapia). Esso si basa sull’esame del linfonodo sentinella cioè di quella stazione linfatica ascellare che per prima riceve la linfa e con essa le eventuali cellule maligne migrate dal tumore mammario. Il principio è che tale biopsia intelligente può predire se le restanti linfoghiandole contengono metastasi (e debbono quindi essere tolte), oppure se sono indenni e consentire in tal caso un atteggiamento più conservativo evitando la dissezione del cavo ascellare e la completa asportazione dei tre livelli linfonodali (almeno 25 linfonodi) che l’atto chirurgico tradizionale prevede, con un’inutile sacrificio di tessuto immunocompetente.
Alla paziente vengono inoltre risparmiati i disagi e le complicanze anche gravi (come le lesioni nervose e il linfedema) che la linfadenectomia può comportare all’arto, ovviando così al rischio di un’invalidità permanente. Presupposto che ha motivato l’elaborazione di questa metodica, la frequente osservazione che in questi ultimi anni, grazie a diagnosi più precoci rispetto al passato, il chirurgo si è trovato di fronte a tumori sempre più piccoli. Conseguentemente i linfonodi, asportati precauzionalmente anche quando clinicamente negativi, sono risultati poi privi di colonizzazioni neoplastiche in un numero sempre maggiore di casi. La tecnica originale consiste nello iniettare, generalmente il giorno precedente l’operazione, una piccola quantità di albumina umana marcata con un tracciante quale il Tecnezio-99m nel sottocute in stretta vicinanza della neoplasia. Le molecole penetrando nei vasi linfatici della mammella si arrestano nel primo linfonodo che incontrano (linfonodo sentinella). Divenuto redioattivo, questo viene evidenziato mediante linfoscintigrafia come area calda già 30 minuti dopo l’iniezione. Sopra di esso in sua corrispondenza, viene quindi segnata la cute.
Al momento dell’intervento, asportato il tumore al seno, il chirurgo può individuare selettivamente la linfoghiandola passando sulla cute precedentemente contrassegnata, una sonda manuale per chirurgia radioguidata in grado di captare l’attività gamma emessa dal tecnezio radioattivo, e di tradurla in un segnale acustico. Su questa guida sonora il linfonodo viene rimosso tramite una piccola incisione e immediatamente inviato al patologo per l’analisi estemporanea. La risposta, che giunge in breve all’operatore, è inequivocabile grazie ad un esame istologico accurato che prevede almeno 30 sezioni sul pezzo e all’uso di tecniche di immunoistochimica.
In caso di assenza di infiltrazione neoplastica, si può soprassedere al prelievo dei restanti linfonodi ascellari. Se le dimensioni del tumore lo consentono, sia la sua asportazione, sia tutto l’iter diagnostico possono essere condotti in anestesia locale con durata dell’ospedalizzazione di 24 ore (one day surgery). Solo nel 3,2% infatti si sono riscontrati falsi negativi (linfonodi sentinella sani in presenza di metastasi in una o più delle altre ghiandole linfatiche) in occasione di carcinomi mammari multifocali che controindicano l’applicazione della tecnica. Peraltro nel caso di neoformazioni inferiori a 1,5 cm. l’accuratezza diagnostica è risultata del 100%. Se altri trials clinici confermeranno questi dati (dal 1996 è attivo lo Studio Torinese sul Linfonodo sentinella o STILS, coordinato dalla Divisione di Chirurgia Oncologica e dal Servizio Universitario di Medicina Nucleare del S. Giovanni) ogni anno nel mondo verrà evitato a 400 mila donne un’intervento demolitivo inutile.