La plastica per l’ernia inguinale rimane il più diffuso intervento di chirurgia generale in tutte le sale operatorie del mondo. Superate e archiviate almeno per l’adulto le riparazioni mediante una sutura ormai desuete (ne e’ di esempio la tecnica di Bassini vanto italiano del passato), l’era moderna ha reso necessario un atteggiamento di cura decisamente differente.
Fermo restando che l’unico modo per guarire definitivamente da questa affezione rimane ad appannaggio del chirurgo, la protesi è divenuta l’alleato ideale, l’emento cardine nella cura. Le piccole retine adottate hanno così sovvertito i vecchi canoni, introducendo un concetto nuovo e meno traumatico nella riparazione, che può garantire in mani esperte, i migliori risulati a distanza mediante una semplice toppa. Ma come sono fatti, da che cosa sono composti e chi ha ideato i dispositivi protesici? in questi anni sono state proposte molteplici tecniche open e laparoscopiche descritte dai vari autori con modalità esecutive codificate e con differenti materiali.
Relativamente alle metodiche che prevedono la classica incisione cutanea, definite per questo motivo “open”, sono sopratutto due quelle che hanno mqggiormente catalizzato l’attenzione degli addetti ai lavori per l’efficacia, la semplicità e la rapidità di esecuzione per ogni tipo di ernia inguinale, raggiungendo una presenza capillare nei Paesi industrializzati. La tecnica descritta dal connazionale Ermanno Trabucco che porta il suo nome e definita “tension free sutureless” è una di queste.
La retina di disegno e dimensioni originali, viene posizionata sul pavimento del canale inguinale senza la necessità dì apporre punti di sutura per fissarla. Il paziente viene operato in anestesia locale (la soluzione anestetica è iniettata unicamente nella sede dell’ernia) e dimesso nella stessa giornata dopo una breve degenza di alcune ore nel centro operatorio (day-surgery). L’altra analoga opzione di cura è rappresentata dalla Lichtenstein. Anch’essa considerata mini invasiva, diffusa a macchia d’olio nei 5 continenti, viene impiegata utilizzando una protesi che a differenza della precedente, viene modellata al tavolo operatorio e suturata per l’ancoraggio ai tessuti organici.
La procedura laparoscopica, in verità più indicata per l’ernia inguinale recidiva che non per quella primitiva, ha trovato in questi anni un consenso crescente in molti fautori trattandosi di una modalità di approccio concettualmente differente dalle altre pur con la stessa finalità di cura. In questo caso la protesi con particolari caratteristiche utilizzata per riparare il difetto della parete, viene posizionata in profondità attraverso l’addome, più a stretto contatto con gli organi interni a volte anche con l’ausilio della robotica (tecnica transperitonealeTAPP) o totalmente extraperitoneale (TEP.) La laparoscopia necessita peraltro dell’anestesia generale per la sua esecuzione diversamente dalla chirurgia open. Procedure differenti, luci ed ombre sulla validità di ciascuna in considerazione della situazione clinica del paziente atta a definire quale possa essere la migliore da adottare caso per caso sartorializzando la cura. In realtà la soluzione terapeutica futura risiede nella evoluzione e nella costante ricerca di materiali sintetici di nuova generazione da impiegare per l’ernia.
Sempre più biocompatibili, di ridotta grammatura, anche parzialmente riassorbibili dal corpo, più performanti e confortevoli per il paziente, questi presidi in definitiva devono poter garantire al tempo stesso il successo terapeutico con la minore intrusione a permanenza di sostanze estrannee all’organismo umano. Oggi questo obiettivo è già stato almeno in parte centrato grazie ai recenti dispositivi messi attualmente a disposizione dalla tecnologia più avanzata per il raggiungimento del gold standard nella prestazione.
Dr. Tommaso Lubrano
Adjunct Professor Of General Surgery School of Medicine
University of Torino, Italy